Il soggetto
prediletto da Menegaldo, quello che s’accompagna al Sile, durante
quasi tutto l’anno permane in effetti incantevole, per l’aria purificata dai
vapori estivi e per l’odore campestre di fango degli stagni, tanto che ogni
cosa sembra tratta da contorni nitidi e precisi. Immagini solenni della realtà campestre che appaiono consentire
atteggiamenti introspettivi, legati all’idea che il paesaggio rappresenti il
perfetto simbolo della realtà, ma anche la testimonianza dell’interiorità
dell’esecutore, in cui tradurre pienamente e con maggior vigore tutta
l’importanza del “plein air”. La pittura di Menegaldo, sin dagli
inizi, si è tutta risolta tra canali e casali, campi e prati, realizzando
certamente un sogno di evasione lungamente vagheggiato ma anche quello studio
dal vero che è progetto di ogni pittore: la sua è una pittura all’aperto, fuori dallo studio, en plein air, come ci hanno insegnato gli Impressionisti. E’ un’immagine romantica quella
dell’artista in caccia del suo soggetto, accompagnato da cavalletto e cassetta dei colori, mentre osserva e fissa anse
e ristagni d’acqua, raduna e
ridimensiona pioppeti, sfoltisce siepi
già tagliate con giusta abilità dai proprietari, rettifica con competenza
qualche insenatura del corso d’acqua, misura con il
pennello le proporzioni del disegno per soddisfare le misteriose leggi della
proporzione con abili giustapposizioni cromatiche, con sagome e fondi resi con pochi tocchi materici
di colore, dissolti nella tela e
nella forma da un pennellare sicuro e consapevole. Al naturalismo, di matrice veneta che
lo porta a studiare dal vero la natura, Menegaldo unisce un gusto singolare per
la sua terra, intesa come spunto pittorico, pretesto cromatico, con tracce di
compiacimento settecentesco, quel che appariva
come rilevante originalità di un’arte semplice e virile, mestiere
sapiente che suscita fascino e illusione. Da buon colorista
Menegaldo è attento ai valori prettamente pittorici del dipinto, alla
scelta del taglio da dare alla composizione, quasi sempre frontale, ai rapporti
coloristici, siano questi accordi o contrasti cromatici, abilmente elaborati e
alla qualità della luce, ottenuta con l’abile uso del pennello piuttosto che
della spatola. La pennellata si è fatta sicura: s’appoggia nel quadro con
tanta tenuità, raggruppa le masse con garbo, intona i colori con tanta armonia,
pennelleggia con raggiunta maestria: Menegaldo presuppone la staticità, così
come raccomanda la grammatica della pittura, non c’è cronaca, solo attimi
raccolti dal divenire, fermati nella fluttuazione, attentamente sospesi nel
piano attenuato della pulizia dei colori. Lo strumento stilistico scelto per
tradurre in immagini le apparenze della realtà visibile è, in pittura, un segno
che si infittisce e si dirada per esprimere la trama di relazioni degli oggetti
fra loro e con loro nello spazio circostante. Poi disserta su nuclei e
strutture, energia e dinamismo di pennellate stese per velature successive
sulla tela. Le acque captano vibrazioni di luci attenuate e le trattengono
nella continuità del fluire. Con i suoi paesaggi fluviali si immerge nella tradizione
del vedutismo e lo fa con garbo, lo fa con gioia. Fanno parte del suo catalogo vedute dei luoghi dove lo
conducono il suo gusto e la semplicità, le sue pause di silenzio, dove dialoga
intimamente con il paesaggio restituendolo con pochi toni terrosi, di verde e
di azzurro, tutta la vibrazione, l’incanto non artefatto di luci e ombre, il
respiro ampio che hanno tanti prati e
seminagioni nella nostra terra. C’è
stato un evidente sviluppo stilistico nell’attività pittorica di Menegaldo, con
pennellate che hanno mutato sostanzialmente il loro appoggio, facendosi ora più
minute e più disperse, accennando sembianze quasi lucide di vapori e specchi
d’acqua, rispetto alla disposizione di tinte e al dinamismo delle solarità
intense. L’ambientazione sempre
sobria, virile e discreta, all’orizzonte la luce del Sile e dall’altra
parte campanili, casolari e strade,
tutto distribuito con avvedutezza, quasi con parsimonia, così l’appassionata
campagna vi mantiene pienamente il suo signoraggio. Il paesaggio lungo il Sile
in certe stagioni, si fa in effetti,
incantevole, per l’aria purificata dai vapori estivi e per l’odore di
fanghiglie; quando ogni cosa risulta mostrare contorni nitidi e precisi e tutto
si colloca in un senso rievocativo e reverenziale, un modo di rapportarsi al paesaggio liberandolo dal condizionamento di una riconosciuta cultura
pittorica. Immagini solenni e silenziose della realtà campestre che
appaiono testimoniare atteggiamenti
introspettivi, legati all’idea che il paesaggio non abbia solamente attività
mimetica della realtà, ma anche testimonianza dell’interiorità dell’esecutore,
in cui tradurre pienamente e con maggior vigore tutta l’importanza del “plein
air”. Realtà
e sogno vengono così a fondersi anche nelle rappresentazioni dei paesaggi
campestri e fluviali, completando quelle suggestive vedute, restituendone il
senso consolatorio, l’armonia
ancestrale, la sensibilità malinconica. Si accenna alle poche nature morte presenti nella raccolta
di elaborati per riferirne la particolare luce e la
sicurezza tecnica dell’esecuzione, l’intelligenza e la suggestione di un
esercizio culturale raffinato, la
padronanza della luce e l’amabilità del risultato. |