Molte volte ho curato la presentazione delle opere di Ilario Menegaldo e ho sempre trovato  di grandissimo interesse i suoi dipinti.  Non mi stancherei mai di ammirarli perché ogni volta scopro nuovi motivi che l’artista inserisce o rinnova, nuovi temi, nuovi colori, nuovi formati. Ritrovo aspetti che precedentemente avevo trascurato o che mi erano totalmente sfuggiti. Conoscendo  i lavori precedenti, ho  il vantaggio ed il privilegio di capire quale percorso di maturazione e di evoluzione ha compiuto il nostro artista.
Intanto, e questo è l’aspetto più appariscente, attraverso questi quadri
potrei effettuare un excursus attraverso le stagioni: c’è il freddo inverno, con la neve ed il ghiaccio, che ci introduce in un’atmosfera di sogno, di pace, di silenzio con tinte che invitano alla meditazione ed al raccoglimento. Poi la primavera, con i suoi colori teneri, con il cielo mutevole cosparso di bianche nuvole fuggenti. La calda estate di assolati meriggi, con le bionde messi mature e le ombre profonde della vegetazione in un’atmosfera immota.  Il mite  autunno, dolce e malinconico  pieno di colori cangianti, verde stanco e giallo brillante di foglie cadenti. Ed è attraverso questo fuggire del tempo che l’artista ci fa percepire una specie di Sehensucht romantica. Ogni passaggio di stagione sembra rimpiangere la passata e morta, in un perpetuo ciclo vitale di tramonto e di rinascita che il pittore magistralmente ci illustra. Nei suoi dipinti si percepisce una serena e mesta sensibilità, come un sogno ormai passato e fiso sulla tela, nell’aspettativa di quello che verrà, nuovo e più brillante. Una nostalgia intensa di luoghi dove si vorrebbe ritornare, di scenari che si vorrebbero rivedere,  di situazioni già trascorse che si vorrebbero rivivere. Il quadro, come rappresentazione cristallizzata di un istante irripetibile, instilla una piccola ma luminosa speranza per il futuro. Questo è lo stato d’animo, la “Stimmung” a cui le opere di Ilario ci spingono.  Noi, inguaribili romantici, ci troviamo di fronte ad una “concordia discors”, una dialettica  tra passato, presente e futuro. Le nostre intime inquietudini divengono forti di fronte  a queste suggestive rappresentazioni, a questi paesaggi ricchi di colore, efficaci nel tratto e nella pennellata ora rapida, ora larga ora raffinata, di fronte all’acqua quasi onnipresente, ubiqua, chiara, liscia, riflettente, misterica, profonda. Diceva Caspar David Friedrich, eccellente pittore:”L’artista si guardi dalla fredda tecnica ed erudizione, dalla cavillosa e fredda precisione, dalla pedissequa imitazione perché questi atteggiamenti uccidono il cuore. E quando il sentimento ed il cuore sono morti negli uomini, l’arte non può più dimorarvi.” Ecco, così: nelle sue opere Ilario trasfonde tutto il suo sentire, il suo cuore e sentimento, tutta la sua Weltanschauung, la sua visione del mondo piena di colore e di calore.

Prof. Umberto Benazzato (12/03/2016)

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"La pittura è un'arte, e l'unica, autentica fonte dell'arte è il nostro cuore; è il linguaggio di un animo puro. Un'opera che non scaturisca da questa fonte, può essere solo "artificiale", non autentica. Questo scriveva CASPAR DAVID FRIEDRICH, un pittore paesaggista tedesco di fine '700, primi dell'800.

       Il pittore sceglie il soggetto, l'inquadratura, il momento del giorno, l'atmosfera, ma poi ce li restituisce sotto la luce del suo cuore, sotto la sua prospettiva. L'anima dell'artista diventa come un raffinato strumento musicale che suona in accordo con l'armonia del mondo.

         Queste considerazioni, mi pare inquadrino perfettamente lo spirito del nostro Ilario e possiamo tutti riscontrarle de visu ammirando le sue numerose opere qui esposte. Opere che in un certo senso tracciano il cammino artistico, cammino dell'anima, compiuto dal pittore.

         In questa esposizione, accanto a dipinti che definiremmo tradizionali, ci sono delle importanti novità. Non che i soggetti siano cambiati, si sono ampliati! C'è sempre l'amato Sile: quasi ogni quadro ha un "occhio d'acqua" che ci guarda e ci ipnotizza con iridescenti riflessi o con azzurre profondità; ci sono i verdi con le loro innumerevoli sfumature, ci sono rossi chiassosi ed opachi, ci sono gialli solari e tenui, ci sono blu invernali, non freddi, ma misteriosi e romantici. Abbiamo nuvole, quasi una novità che potrebbe passare inosservata, che attraversando il cielo creano movimento, generano un'atmosfera di attesa e turbano l'azzurro profondo. E c'è anche un'altra novità: alcuni dipinti si  presentano in un formato inusuale, direi quasi panoramico, senza una cornice che restringa il campo. Sembra che il soggetto non finisca lì dov'è ma continui spingendoci quasi ad immaginare ciò che potrebbe esserci dietro la tela. Li definirei "quadri aperti" non solo in profondità prospettica e coloristica, tecnica in cui il nostro Ilario è maestro, ma anche in spazialità indefinita ed infinita: è il caso del paesaggio toscano che ispira serenità con le sue dolci ondulazioni, o del piccolo borgo preceduto da un folto uliveto sul crinale di un colle.

E' ancora il caso del villaggio vibrante di colori, visto da oltre il fiume, o della dolce e feconda campagna trevigiana, o della verdeggiante sponda del Sile.

Certo Ilario sa approfittare di tutte le sue esperienze precedenti. Egli ci presenta emozioni momentanee ma cristallizzate per sempre nei quadri. Questi dipinti. oltre alla loro bellezza intrinseca, data da una tecnica sempre più perfezionata ed elastica, hanno due qualità fondamentali: fascino e suggestione. Ammirandoli, mi sono convinto che ogni sua opera d'arte venga concepita in un'ora "sacra" e nasca in un'ora "felice", il più delle volte senza che l'artista ne abbia coscienza, da un intimo impulso del cuore. Ecco perché definirei i paesaggi di Ilario come i paesaggi dell'anima.

Prof. Umberto Benazzato (19/09/2015)
 

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 Sono molti anni che frequento l'amico pittore Ilario Menegaldo ed ancora rimango stupito dalla sua opera che, sotto un’apparente semplicità e, oserei dire, purezza di sguardo, cela un sentire più profondo, quasi misterioso.
Certo, le opere che vediamo in questa esposizione potrebbero essere ammirate sotto l'aspetto tecnico e fattuale; potremmo comprendere così come la padronanza del colore, la sapiente disposizione prospettica delle tinte, l’affascinante bellezza del paesaggio, la freschezza e vivezza della quasi onnipresente acqua, le infinite sfumature dei verdi siano i fattori che fanno dire anche ad un profano: “Che bello!” oppure “Mi piace!”.
Ma se riflettiamo bene, ci rendiamo conto che ciò non basta.
Tutti noi, di fronte ad un paesaggio, ad un monumento, ad un tramonto, ad una notte stellata, ad un borgo antico e pittoresco non ci chiediamo che cosa esattamente ci faccia emozionare, né il perché. Siamo presi, invece, da un sentimento indefinibile che scaturisce dal nostro inconscio. Ecco, è proprio questo indefinibile che il nostro artista riesce ad afferrare.
Diceva Leonardo che le cose bisogna osservarle molto attentamente e a lungo affinché entrino in noi: solo allora esse ci appartengono e possiamo distillarle, descriverle e rappresentarle in una immagine. Questo riesce a fare Ilario: riportare su di una tela ciò che vede, percepisce e fatto suo, ed è ciò che anche noi vediamo e che ci emoziona. Di fronte ai suoi quadri avvertiamo, di volta in volta, il tepore e lo splendore della primavera, l’aria rarefatta della montagna, il calore del solleone in campagna, la calma lucente delle acque placide, la mesta e multicolore tranquillità dell’autunno, le varie e chiassose tinte di un mercato rionale, l’intima poesia invernale. Oppure la quietudine di un cascinale, il
  calore umano di un borgo o la pace di un luogo immerso nel verde.
In ogni opera d’arte c’è anche l’anima dell’artista, la sua Weltanschauung,
 contemplazione o visione del mondo, che spesso sotto una apparente serenità, brillantezza e lucentezza di colori ci rimane in qualche modo imperscrutabile. Ed è anche questo mistero, altra perizia del nostro pittore, che ci costringe alla meditazione di fronte ad un quadro. E ci domandiamo se per caso, oltre al messaggio di serenità, di quiete, di poesia che Ilario mette abilmente sulla tela e che tutti possiamo apprezzare, non si nasconda anche un codice subliminale che dovremmo decifrare.
Osserviamo a lungo e molto attentamente e magari scopriremo un invito ad aprire gli occhi per godere il più possibile della bellezza, forse momentanea, fugace, mutevole fissata sulla tela: bellezza resa con tinte ora soffici ora vivaci, bellezza che è attorno a noi e che molto spesso, presi dalla frenesia della vita non riusciamo a vedere ed apprezzare perdendo così l’intima poetica della natura che ci circonda.
                                    
Prof. Umberto Benazzato (31/3/2012) 

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  In calce  ad uno dei suoi quadri che ritrae una pipa, René Magritte (1898-1967) scrisse: "Ceci n'est pas une pipe" (questa non è una pipa) per invitarci ad una riflessione molto semplice: la rappresentazione non è l'oggetto che essa rappresenta; l'oggetto dipinto noi lo vediamo attraverso gli occhi e la trasfigurazione che l'artista ci propone.
         I quadri di Ilario Menegaldo ci mostrano paesaggi che ad una prima impressione sembrano familiari, noti, già visti. Ci mostrano i nostri fiumi, i  nostri monti, la nostra campagna, le nostre case, le nostre città, le persone che potremmo incontrare tutti i  giorni.
              Ma potremmo pensare: una foto od un filmato potrebbero fare meglio!
               Il fatto è che noi non vediamo nei dipinti di Ilario una rappresentazione del vero. Ciò che Ilario dipinge prefigura il messaggio che egli ci vuole trasmettere. Certi scorci che ci potrebbero sembrare simili sono invece diversissimi nelle vibrazioni del colore date dalla luce e mediate attentamente dall'artista. Ogni quadro fa nascere in chi lo guarda sensazioni differenti. Con la sua sensibilità l'artista toglie ciò che è superfluo ed aggiunge quanto è necessario per la poesia e l'equilibrio della composizione, per la trasmissione di un messaggio, per creare un'affinità tra osservatore e opera.
Infatti noi vediamo una trasformazione simbolica filtrata dalla fine sensibilità dell'artista che riesce a trasmetterci con colori sapientemente creati e calibrati e con pennellate meditate ed esperte , un sentimento inconscio, impalpabile ma presente. Ogni dipinto diventa così un simbolo che "quasi sembra osservarci con uno sguardo familiare", come direbbe il grande poeta Charles Boudelaire (1821-1867) che così continua:
                           "Comme de longs échos qui de loin se confondent
                                      Dans une ténébreuse et profonde unité
                            Les parfums, les coleurs et les sons se répondent"
Cioè: "Come lunghi echi lontani che si fondono in una misteriosa e profonda unità vasta come la notte e come la luce, i colori, i profumi ed i suoni si corrispondono".
              Così, a volte, osservando ed ammirando i quadri di Ilario, ci sorprendiamo quasi a percepire il profumo dell'aria, di un fiore, a sentir lo stormire delle fronde, il canto o il silenzio della natura immersa in una atmosfera fantasticamente colorata.
              E' proprio il dipinto che parla alla nostra anima. E' una emozione che (esso) ci sussurra.
               Sta a noi ascoltare ed ammirare.
                                     
Prof. Umberto Benazzato (04/09/2010)

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         Per giudicare
un'opera d'arte, abbiamo due livelli di osservazione: la posizione critica che ci porterebbe ad analizzare i vari aspetti tecnici, teorici e canonici di un'opera d'arte, e la posizione del cuore e del sentimento.
Non lasciamo che la critica uccida la poesia! Guardiamo i quadri di Ilario Menegaldo solo con occhi innocenti e vergini, occhi che siano la finestra del nostro intimo sentire.
              Ad una prima impressione, le opere di Ilario si inseriscono nella lunga tradizione dei paesaggisti veneti: interpretano il paesaggio con colori che solo un territorio di acque, di verde, di luce sa dare. Ma se osserviamo bene, le tonalità sono ben lontane dal reale. Hanno una lucentezza, un'atmosfera che solo un pittore con profondo spirito "poetico", con tecnica consumata e grande capacità di trasformazione ideale sa fare, e lo fa con pennellate quasi impercettibili. Spiegare questa mutazione sarebbe cosa ardua: ci vorrebbe ben più di uno sguardo, ci vorrebbe meditazione.
Se ci si lascia prendere dalla bellezza e soprattutto dal mistero delle immagini si viene trasportati dentro un mondo dove ragione e fantasia si confondono, dove realtà e immagini si fondono, dove il tempo presente e passato rimangono immoti e mescolati, forse in attesa di un futuro ideale. Ecco, quella sottile patina di indefinito che pervade le tele ci fa vedere il mondo come in un sogno, ci pone una domanda per certi versi inquietante: cosa c'è oltre? E l'inquietudine è accresciuta dall'inconscio timore e terrore di svegliarci e ritrovarci in una realtà ben più prosaica e dura. Ilario sembra tradurre con pennello il concetto che Paul Verlaine disse in poesia: "... nous voulons la Nuance encor, / Pas la Couleur, rien que la Nuance! / Oh! la Nuance seule fiance / le rêve au rêve et la flûte au cor. Noi vogliamo la sfumatura, non il Colore, soltanto la Sfumatura. Oh! solo la Sfumatura fidanza il sogno al sogno ed il flauto al corno.
E scopriamo che sotto l'apparente semplicità e dolcezza del quadro c'è tutto un universo di pensiero e di riflessione che, da un lato ci invita a gioire delle bellezze della natura e dall'altro ci costringe a meditare sul nostro rapporto con il mondo e la vita.
              In questo, secondo me, sta il genio dell'artista Menegaldo: condurci attraverso la bellezza e la poesia, ad una analisi intima dei nostri sentimenti, della nostra humanitas!
                                       Prof. Umberto Benazzato
(25/05/2010)
 

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